venerdì 20 ottobre 2017

AFRICA E GHEDDAFI: LA PERDITA DI UNO STATISTA

AFRICA E GHEDDAFI:
LA PERDITA DI UNO STATISTA

E così sono passati sei anni da quel drammatico 20 ottobre 2011, pomeriggio, ero in fila in auto sui viali di Firenze, avevo appuntamento con Giovanni Gozzini, storico della comunicazione con il quale stavo condividendo il progetto del mio saggio che da lì a poco gli avrei consegnato per la supervisione e la prefazione, per vedermelo ritornare “approvato” circa un mese dopo, ai primi di dicembre, con il commento entusiastico di Giovanni “...abbiamo un grande libro, dobbiamo pubblicarlo!” stava nascendo “Libia il naufragio dell'Europa”.
Mentre guidavo mi chiama un amico al telefono portatile, “Hai saputo? - mi dice – hanno ammazzato Gheddafi” come? “A Sirte, una incursione aerea su una colonna di veicoli”, era terminata la strenua difesa del khwan rās, il “fratello leader” nella sua regione natale, era terminata la meravigliosa, utopistica avventura della Jamahiriya Libica Araba.
Si era appena spento, soffocato da mercenari e traditori, il respiro dell'unico vero grande Statista Africano contemporaneo, Mohammar al Ghaddafi, l'uomo che con parole semplici - le parole destinate al popolo della Nazione Africana – aveva saputo spiegare una delle più sconvolgenti rivelazioni della contemporaneità: la democrazia parlamentare è una distopia. O, meglio ancora, si tratta semplicemente di un inganno, di una contraddizione in termini, laddove si pretenda che una percentuale relativa di uno scenario politico possa operare nell'interesse delle forze politiche ad essa avverse, una ipocrisia istituzionalizzata.

...dobbiamo pubblicarlo!” cominciarono allora le telefonate, le presentazioni a questa e quella casa editrice, le più blasonate – anche – per gli aspetti di ricerca storica contemporanea, le più “vocate” alla questione mediterranea, purtroppo nessuna di queste avrebbe trovato nei propri corridoi una collana “...adeguata ad un saggio contemporaneo così importante...” fino ad arrivare alla vera e propria censura da parte del direttore Padellaro che rifiutò ben due volte una finestra di promozione del saggio, alla fine uscito come e.book, sul suo Fatto Quotidiano.

Sull'assassinio di Gheddafi sarebbero poi usciti saggi partigiani di quanti avevano condiviso o assorbito la vulgata dei criminali della NATO, di quanti avevano raccontato una versione della storia del Nordafrica fin troppo legata alle voglie di un neo-colonialismo, camuffato ma sempre sanguinario come ai tempi delle varie Compagnie delle Indie, di veri e propri collaborazionisti nordafricani che – anche con pseudonimo femminile – avrebbero cercato di infangare la memoria dell'Eroe assediato dalla più potente coalizione militare della Storia con descrizioni di debauche da eroinomane.
Iniziai il libro dopo aver scritto ed inviato alla Presidenza della Repubblica un appello a non entrare in guerra, a non dichiarare guerra, una guerra infame e da vigliacchi, a non renderci correi (come immagine di Nazione e di popolo) di quello che il Tribunale di Norimberga definiva come il peggiore e più grave dei crimini: quello di iniziare una guerra, crimine che al suo interno condensa tutti gli altri.

Avviare una guerra di aggressione, non lo si può solo configurare come un mero crimine internazionale, già di per se gravissimo, ma è da considerarsi un vero e proprio crimine supremo, per cui differisce solo dagli altri crimini di guerra, nel senso che contiene in sé il male accumulato di tutti i crimini internazionali

Ma nessuno trovò nemmeno il tempo, io credo il destinatario della mia lettera non avesse né il coraggio né l'autonomia, di riflettere sulla gravità – storica, morale – di questa decisione. Legati da patti inconfessabili a veri e propri criminali di guerra, a gente che non ha esitato a mentire su armi chimiche e biologiche, su presunti genocidi, venivamo ascritti d'emblée come Nazione al cenacolo dei traditori inchiodati da Dante nel ghiaccio dell'Antenora.

Solamente il libro di Sensini “Libia 2011” aveva affrontato con correttezza e lealtà l'argomento della GUERRA, della quale si dimostrerà una precisa, allucinante cronaca. Se vogliamo limitandosi ad una analisi ancora troppo marginale del “fenomeno Jamahiriya” e del “fenomeno Gheddafi” troppo superficialmente e modaiolamente definito laico, analisi in qualche modo stereotipata, senza raffrontarla con tutto ciò che Moammar rappresentava pienamente per l'Africa di fronte al mondo e senza la calma di valutare l'importanza della tradizione religiosa nei canoni della “Terza Via Universale”.

Libia il naufragio dell'Europa” è invece un saggio che si differenzia da tutte le pubblicazioni sull'argomento libico, è l'unico infatti che mette a confronto la realtà italiana scendendo anche nella dimensione della provincia con la realtà internazionale, mediterranea e tradizionale delle varie Nazioni e società e culture e differenti concetti di civiltà. Era, ed è un libro vivo, perche veniva scritto con Gheddafi vivo e battagliero, a dispetto degli infami che gli davan la caccia, a suon di menzogne ed inganni e corruttele. Soltanto alla fine, quel tragico 20 Ottobre 2011, diventava una analisi di che cosa noi eravamo e di che cosa avrebbe ancora potuto essere, e perché, la Jamahiriya.

Un limite forte alla comunicazione lo si deve ascrivere – purtroppo, sempre – a una sorta di gelosia che si è in qualche modo connaturata in osservatori peraltro attentissimi, preparati della Storia contemporanea, soggetti come Fulvio Grimaldi, integerrimo, a dir poco leggendario per la sua presenza e condivisione sui veri e propri campi di battaglia (praticamente tutti quelli di cui la mia generazione è stata almeno anagraficamente testimone). Grimaldi proprio non riesce a destinare pubblicamente ai meno blasonati di lui una attenzione “sdoganatrice”. E' un atteggiamento che per altri, che son pusillanimi, ho stigmatizzato nel “tengo famiglia” ma che non voglio appiccicare a lui, proprio per il rispetto che merita. Forse però per costruire una base di comunicazione dell'informazione non allineata e critica più diffusa sarebbe necessario che i “peones” come il sottoscritto venissero per così dire “sdoganati” dai fratelli maggiori, anche perchè molto spesso i “fratelli maggiori” non hanno da temere una concorrenza “editoriale” in quanto i nostri parti sono comunque relegati ad una coraggiosa editoria che rimane comunque di nicchia, in un momento come l'attuale, di caccia alle streghe, di manipolazione di informazioni e consenso, di omologazione ad un unico modo di pensare e comprendere. Un momento di cieco, ottuso egoismo, avvolto di paura.


Il nostro ricordo va comunque sempre al combattente per la libertà dell'AFRICA dal rinnovato giogo coloniale, onore a Mohammar Al GHADDAFI.

3 commenti:

  1. salve
    da tempo, Emilio, aspettavo un tuo scritto e leggere questo, te lo assicuro, mi ha commosso.
    Conosci le mie idee, ben poco conformi e ancor meno politicamente "corrette" idee ghettizzate che, a breve, diventeranno pure sanzionabili con la detenzione nelle "patrie" galere.
    Ammetto di non avere, a suo tempo, una lusinghiera opionione di Gheddafi ma leggere i tuoi libri mi ha aperto la mente (scusa la presunzione, aperta perchè disposta a leggere e ascoltare tutti) e fatto conoscere realtà in modo esaustivo e onestamente corretto, realtà, che la tanto decantata stampa "democratica e pluralista" ci tiene nascoste.
    Gheddafi, come altri in passato, paga l'amore verso il suo popolo, la sua sovranità, l'indipendenza e la sua libertà.
    Mi auguro che un giorno, spero non troppo lontano, tutti i nodi vengano al pettine e chi dovrà pagare, paghi tutto ...
    Mia bisnonna, cattolica praticante, usaca dire: Iddio non paga il sabato, PAGA a SUO tempo ...
    buona domenica
    saluti
    Piero e famiglia

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